Andrea Purgatori “riapre” il caso, mentre la Procura archivia. Pietro Orlandi: “Verità!”

Emanuela Orlandi: 35 anni di segreti e silenzi

Il manifesto della scomparsa di Emanuela Orlandi che ha fatto il giro del mondo

ROMA – Di segreti e misteri di Stato Andrea Purgatori potrebbe definirsi un esperto. Fu lui il giornalista che puntò i riflettori su quello che, grazie alle sue inchieste, divenne – ed è, a tutt’oggi, – il “caso Ustica”. Non è strano, dunque, che a riprendere il filo della matassa, complicatissima, di una delle vicende più tristi e controverse nella storia del nostro Paese, la scomparsa di Emanuela Orlandi, sia stato proprio lui, dagli schermi di La7: nell’ultima puntata di “Atlantide”, andata in onda martedì scorso, il giornalista dei misteri di Stato ha ripercorso l’intera vicenda, nella convinzione che “un Paese che non riesce a fare i conti con il passato non può costruire il futuro”.
Lo ha fatto con l’aiuto di Pietro, il fratello di Emanuela che non ha mai smesso di cercarla insieme alla madre e che oggi, alle 18.30, sarà il capofila di una manifestazione che, partendo da Piazza Giovanni XXIII, proverà ad arrivare a Piazza San Pietro («Vorremmo arrivare anche lì per ricordare Emanuela “a casa sua”», confida Pietro all’Ansa, spiegando che il Vaticano deve dare ancora l’autorizzazione).
Purgatori, anche grazie alle rivelazioni di un altro giornalista, Emanuele Fittipaldi, che sul Vaticano e i suoi segreti ha sollevato più di un velo, ha cercato di aggiungere qualche tassello in più in una storia in cui, dopo 35 anni, restano aperti troppi interrogativi. Così come troppe sono le bocche che sanno, ma non parlano. «Chiunque sappia o ricordi qualcosa di Emanuela Orlandi – è l’appello di Andrea Purgatori – può scrivere da atlantide@la7.it».

Andrea Purgatori nella puntata di Atlantide dedicata ad Emanuela Orlandi

IL FRATELLO PIETRO: «NON RINUNCEREMO MAI ALLA VERITA’, MA IL PAPA NON MI RICEVE»

La storia, la brutta storia, comincia il 22 giugno del 1983. La famiglia Orlandi dopo 35 anni di buio non si è arresa, né ha intenzione di farlo. «È un sacrosanto diritto avere verità e giustizia, non ci rinunceremo mai», spiega all’Ansa il fratello Pietro, ribadendo quanto dichiarato ad Andrea Purgatori.
Pietro Orlandi, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, chiede giustizia direttamente al Tribunale Vaticano. E, infatti, da qualche mese la denuncia di scomparsa è sui tavoli della Gendarmeria e del Promotore di Giustizia: l’ha presentata nel novembre scorso, per la prima volta, la famiglia Orlandi.
Ma Pietro parla con amarezza del Vaticano e anche di Papa Francesco: «Si è trincerato dietro una porta blindata. Perché? Dopo la prima volta che l’ho incontrato, e mi ha detto che Emanuela era in cielo, ho fatto tante richieste per rivederlo. Mai una risposta e il muro è sempre più alto».

L’AVVOCATO SGRO’: «VORREI INCONTRARE IL BOSS PIPPO CALO’, FORSE LUI SA»

«Il fascicolo è aperto ma da allora non è stato fatto niente, non è stato interrogato nessuno», denuncia l’avvocato Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi. Ma non è l’unico “binario morto” di questa vicenda. C’è anche una richiesta di vedere Pippo Calò, il boss mafioso attualmente detenuto al 41 bis al carcere di Opera.
«All’epoca dei fatti, nel 1983, era a Roma, era un personaggio importante. Potrebbe avere informazioni sulla vicenda e lui si è detto disponibile a incontrarmi. Perché non arriva una risposta? Calò ha quasi 87 anni, vorremmo che questo incontro possa avvenire a breve», dice l’avvocato Sgrò.

Pietro Orlandi

EMANUELA ORLANDI: UN GIALLO INTERNAZIONALE, MA LA PROCURA ARCHIVIA

Emanuela Orlandi, che oggi avrebbe cinquant’anni, scompare verso le 19 del 22 giugno 1983, dopo essere uscita da una scuola di musica. La ragazza è la figlia quindicenne di un messo della prefettura della Casa pontificia ed è cittadina del Vaticano. A maggio era già scomparsa un’altra ragazza romana, Mirella Gregori e i due casi per qualche tempo furono collegati.
Tornando al caso di Emanuela Orlandi, quella che sembrava la comune scomparsa di una adolescente si trasforma in un “giallo” internazionale che coinvolge in pieno il Vaticano. Il presunto rapimento finisce, infatti, per intrecciarsi anche con l’attentato di Alì Agca contro Papa Wojtyla. Il Papa interviene con diversi appelli.
La presenza di Emanuela, negli anni, è poi segnalata in diverse località ma le rivelazioni non risultano mai attendibili. Senza elementi, la prima inchiesta viene chiusa nel luglio 1997. Poi la banda della Magliana, che spesso era stata tirata in ballo nella vicenda, rientra in primo piano a giugno 2008 con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, compagna di Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi della banda. Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa dopo essere stata tenuta prigioniera nei sotterranei di un palazzo vicino all’Ospedale San Camillo. Ma neanche su questa pista emergono prove concrete, tranne la scoperta effettiva di quei sotterranei, grazie alle rivelazioni della Minardi.
Arriviamo al 2016 e all’archiviazione dell’inchiesta da parte della Procura di Roma, confermata dalla Cassazione.
Chi non archivia è la famiglia Orlandi che, ancora una volta, va avanti risoluta: «Vogliamo risposte sulla trattativa che c’è stata negli anni scorsi tra il magistrato Giancarlo Capaldo e il Vaticano a proposito della consegna di un fascicolo su mia sorella Emanuela, una trattativa che non è stata mai smentita», insiste Pietro.
È sempre Pietro – il coraggio determinato che oltrepassa lo sguardo malinconico di chi fatica a vivere con una spina nel cuore – a raccontare: «Pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela monsignor Giovanni Battista Morandini disse a mio padre che la vicenda preoccupava lo Stato, e c’era un invito a non aprire in Vaticano una falla che difficilmente si sarebbe potuta chiudere. Ecco, penso che la decisione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone di archiviare l’inchiesta giudiziaria è un proseguimento di quelle parole. Altrimenti non mi spiego tutto questo silenzio che dura da 35 anni». (giornalistitalia.it)

 

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