La storia di Luciano Liggio, capo di Cosa nostra e ricercato n. 1 degli anni ‘60 e ‘70

Il boss visto da due giornalisti e due magistrati

TORINO – Due giornalisti e due magistrati per raccontare la storia di Luciano Liggio, capo mafia degli anni Sessanta e Settanta, quando era il ricercato pubblico numero uno. La vicenda è illustrata in un libro significativamente intitolato “Il boss: da Corleone a Milano”, edito da Castelvecchi, nella collana “stato d’eccezione”(231 pagine, copertina in brossura, prezzo 17.50 euro).

Carlo Lucarelli

I due giornalisti sono Carlo Lucarelli, scrittore, sceneggiatore e conduttore per la Rai e Antonella Beccaria, firma del “Fatto Quotidiano” e collaboratrice per la Rai in programmi d’inchiesta. I due magistrati sono Giovanni Caizzi e Giuliano Turone, pubblico ministero e giudice istruttore che, nei rispettivi ruoli, hanno perfezionato le indagini e costruito i processi che hanno portato alla condanna dell’intera banda Liggio.
La presentazione del volume a Torino, nella sala dell’auditorium della biblioteca nazionale, in piazza Carlo Alberto. Insieme agli autori un altro giornalista e un altro magistrato: Vincenzo Tessandori inviato speciale della Stampa, firma di punta negli anni di piombo del terrorismo e Giancarlo Caselli procuratore a Palermo, voce dell’accusa a Giulio Andreotti e poi procuratore generale a Torino. Con loro una presenza d’eccezione, Luigi Rossi di Montelera, dirigente della “Martini & Rossi”, deputato a Montecitorio fra il 1976 e il 1992, eletto con una valanga di voti personali che hanno oltrepassato le 100 mila preferenze. Il 14 novembre 1973, Luigi Rossi di Montelera è stato sequestrato dagli uomini di Liggio e tenuto prigioniero prima in una cascina di Moncalieri poi a Treviglio fino al 14 marzo 1974, quando è stato liberato dai carabinieri coordinati proprio dal giudice Turone.

Antonella Beccaria

“Della mia storia personale – ha ammesso Montelera – ho parlato una sola volta 40 anni fa. Quando sentivo i carcerieri che entravano in quella specie di anfratto dovevo coprirmi la faccia per non guardarli”. Quando ha sentito due voci che si qualificavano come rappresentanti delle forze dell’ordine non ha creduto e ha tenuto il capo coperto dalla stoffa. “Per sincerarmi li ho interrogati – racconta – ricordandomi le lezioni a giurisprudenza del professor Conso ho chiesto che mi illustrassero i contenuti dell’articolo 123 uno, bis e ter. Il giudice Turone ha risposto con sicurezza e ho tolto il cappuccio”.
Prima di Montelera, era stato sequestrato un industriale di Vigevano, Pietro Torielli, per il riscatto del quale era stata pagata una cifra ingente. I sequestratori volevano tagli da 10 mila lire per cui era stato necessario inzuppare di denaro un intero set di valige. Ma quelle banconote che erano state registrate hanno segnato e indicato un percorso che, come le briciole di Pollicino, hanno portato a individuare e sgominare la banda.
Tutti gli intervenuti hanno sottolineato che le pagine del libro corrono con la leggerezze di una spy story e con il fascino di un romanzo d’avventura. Ma non si tratta di un thriller. È una pagina di storia nella quale si intrecciano le vicende della grande criminalità e dell’infiltrazione mafiosa che emigra da sud a nord. Poi: il riciclaggio, il contrabbando, le collusioni con apparati dello Stato, i depistaggi e la finanza sporca del Banco Ambrosiano e dello Ior di allora.
Storia che, purtroppo, si ripropone – anche questo hanno evidenziato i relatori – pur in contesti più sofisticati dalla modernità delle tecnologie. (giornalistitalia.it)

La presentazione del libro nella sala dell’auditorium della Biblioteca nazionale di Torino

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