MILANO – Sono passati 35 anni dall’assassinio del collega Walter Tobagi. Domani, giovedì 28 maggio, alle 18, l’Associazione della Stampa Lombarda – di cui Tobagi era presidente quando fu ucciso, il 28 maggio 1980 – lo ricorderà in un incontro organizzato alla sala del Grechetto della biblioteca Sormani di Milano.
Quella di domani sarà l’occasione, oltre che per ricordare Walter, anche per dare avvio a un progetto culturale di significativa importanza per Milano e non solo: l’inaugurazione del fondo librario donato dalla Scuola di Giornalismo a lui intitolata.
Durante l’incontro, inoltre, l’Assostampa Lombarda presenterà una rassegna delle pagine di cronaca pubblicate il 29 maggio 1980, il giorno dopo il barbaro assassinio di Tobagi, con alcune note di Marco Volpati e Renzo Magosso su chi era Walter e qual è stato il suo metodo per rendere l’Informazione seria e documentata come sempre dovrebbe essere per garantire la libertà di stampa.
Chi era Walter Tobagi
La storia di Walter Tobagi inizia a San Brizio, vicino Spoleto, dove nasce il 18 marzo 1947. Figlio di un ferroviere, Tobagi frequenta il liceo Parini di Milano e matura il suo impegno politico in un momento in cui le aspirazioni rivoluzionarie dei suoi coetanei sono gli ideali di una generazione.
Giovanissimo entra a “L’Avanti!” di Milano, e nel 1969 viene assunto dal quotidiano cattolico “L’Avvenire”. Ha due attività: è un giornalista e uno studioso.
Prima come ricercatore e poi come docente di storia contemporanea all’Università Statale di Milano, si occupa di storia del movimento sindacale. Nel 1975 pubblica un volume sulla CGIL, nel 1978 un lungo saggio sul sindacalismo cattolico e un volume sull’attentato a Togliatti. Studia anche i rapporti fra la politica e la violenza armata nel difficile dopoguerra. Come giornalista si dedica, con scrupolo e rigore, alla politica estera, e ai problemi economici e sindacali che turbano il Paese.
Scrive lunghi servizi sulla condizione dei lavoratori della Fiat Mirafiori, sull’autunno caldo del 1972, sui roventi dibattiti che riguardano l’unità sindacale dei metalmeccanici delle tre confederazioni. Senza mai estremizzare i toni e i contenuti di ciò che sostiene, alla fine degli anni Settanta, inizia ad occuparsi anche di terrorismo.
Segue la strage di Piazza Fontana, la vicenda di Valpreda e le responsabilità di Ventura e di Freda, la morte dell’anarchico Pinelli e l’omicidio del commissario Calabresi. Indaga, poi, sulla strana e tragica fine di Giangiacomo Feltrinelli che muore su un traliccio a Segrate perché la bomba che ha preparato gli esplode in mano.
Quando è assunto da “Il Corriere della Sera”, ha alle spalle una lunga carriera e può esprimere tutte le proprie potenzialità come inviato speciale sul fronte del terrorismo e come cronista politico e sindacale. È indipendente e autonomo Tobagi.
Afferma che non vi è alcuna differenza fra le Brigate rosse “romantiche” delle origini e quelle che alla fine degli anni Settanta sono sanguinarie e ambigue. Denuncia la connivenza nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e riconosce i segnali che una società intera avrebbe dovuto cogliere. È anche un sindacalista.
Quando viene ucciso è il Presidente dell’associazione lombarda dei giornalisti: rappresenta la corrente riformista che è osteggiata all’interno dello stesso “Corriere della Sera”. La sera prima di morire, il 27 maggio 1980, Tobagi presiede un incontro al circolo della stampa di Milano. Parla delle responsabilità di chi scrive di fronte all’offensiva delle bande terroristiche e si chiede ‘chissà a chi toccherà la prossima volta”. Aveva trentatrè anni, una moglie e due figli piccoli. (La Storia siamo noi)