ROMA – In occasione del 50° anniversario del 1968, Agi Agenzia Italia ha ricostruito l’archivio storico di quell’anno, recuperando il patrimonio di tutte le storiche agenzie italiane e internazionali, organizzando una mostra fotografica e multimediale che sarà allestita al Museo di Roma in Trastevere da oggi, 5 maggio, al 2 settembre 2018. Si chiama “Dreamers. 1968: come eravamo, come saremo”. Nel catalogo della mostra, i contributi di alcuni dei protagonisti e degli studiosi di quell’anno così fondamentale nella storia del Ventesimo secolo. Quello che segue è il contributo di Riccardo Luna, giornalista, direttore dell’Agenzia Italia (che ha ideato la mostra, curandola a quattro mani con Marco Pratellesi, condirettore del’Agenzia Italia, ndr).
Questa non è una mostra sul passato ma sul futuro. Sul futuro che sognava l’ultima generazione che non ha avuto paura di cambiare tutto per rendere il mondo migliore. Che si è emozionata e mobilitata per guerre lontane; che ha sentito come proprie ingiustizie subite da altri; che ha fatto errori, certo, ha sbagliato, si è illusa, è caduta, ma ha creduto, o meglio, ha capito che la vera felicità non può essere solo un fatto individuale ma collettivo, perché se il tuo vicino soffre non puoi non soffrire anche tu. Nessuno si salva da solo.
Quello che ci ha colpito costruendo questa mostra, sfogliando le migliaia di foto che decine di agenzie e archivi ci hanno messo a disposizione con una generosità davvero stupefacente, come se tutti sentissero il dovere di contribuire alla ricostruzione di una storia che riguarda i nostri figli molto più che i nostri padri; quello che ci ha colpito sono gli sguardi dei protagonisti, l’energia dei loro gesti, le parole nuove che usavano.
Sui muri di Parigi qualcuno scrisse: “Siamo realisti, chiediamo l’impossibile”. C’è qualcuno oggi che ha il coraggio di farlo? O che pensa che sia giusto farlo? Che abbia senso farlo? C’è qualcuno che ha la caparbietà di essere ottimista senza apparire sciocco? Eppure è questa voglia di futuro il motore di tutte le grandi innovazioni della storia dell’umanità. In quei giorni, quelli del maggio francese, Robert Kennedy, poco prima di essere ucciso, durante la campagna elettorale che avrebbe dovuto portarlo alla Casa Bianca, esprimeva lo stesso concetto prendendo in prestito una frase che compare in un’opera minore del 1920 di George Bernard Shaw: «Alcuni uomini vedono le cose come sono e chiedono: perché? Io sogno cose non ancora esistite e chiedo: perché no?».
C’era nell’aria una spinta per il cambiamento che andava al di là del movimento studentesco ed operaio. A Città del Messico Dick Fosbury ha cambiato il modo di saltare provando a farlo a pancia all’aria, “l’impossibile”; i cantautori in Italia hanno cambiato il modo di cantare; la Nazionale di Valcareggi ha cambiato il modo di giocare dopo la disfatta con la Corea del Nord; le donne hanno cambiato il modo di vestirsi e stare al mondo; e alla vigilia di Natale tre astronauti hanno cambiato la nostra percezione del mondo scattando una storica foto, una foto fatta alle spalle della Luna che mostrava per la prima volta la Terra a colori in tutta la sua bellezza e fragilità. Non ci sarebbe stato l’ambientalismo se non avessimo visto quella foto.
Alla Nasa, per calcolare la rotta che l’anno dopo avrebbe portato i primi uomini sulla Luna, gli ingegneri usavano uno strano oggetto fatto in Italia: si chiamava Programma 101, la P101, ed era un personal computer, un computer personale, una follia, perché fino ad allora i computer erano grandi come palestre e servivano ai governi o alle multinazionali. Poi un giovane ingegnere Piergiorgio Perotto aveva immaginato che un giorno tutti avrebbero potuto avere un computer sul tavolo, “l’impossibile”, e si era detto “perché no?”. E lo aveva fatto.
La rivoluzione digitale, che ancora oggi non sembra arrestarsi, si sarebbe manifestata presto, ma intanto già in quell’anno, il 18 luglio, Robert Noyce e Gordon Moore fondano la Intel in un luogo che tre anni dopo per la prima volta un giornalista chiamerà “Silicon Valley”. Tre mesi prima Joseph Licklider e Robert Taylor, due informatici che lavoravano per una agenzia del Pentagono, avevano pubblicato un breve saggio profetico. Si intitolava “I computer come strumento di comunicazione” e inizia con queste esatte parole: “Tra pochi anni gli uomini potranno comunicare più efficacemente attraverso un computer che guardandosi negli occhi”. Un anno dopo Licklider e Taylor li ritroviamo fra coloro realizzeranno il primo collegamento fra computer, Arpanet, antesignano di quella rete che poi diventerà Internet.
Nel 1968 tutte queste persone lo sapevano benissimo dove stavamo andando. Verso un mondo migliore. Dovevi avere il coraggio di sognare per fare tutte queste cose. Di sognare e di batterti per realizzare i tuoi sogni. Per questo Dreamers è una mostra sul futuro. Una strada per ricominciare a sognare. (agi)