ROMA – “Il ministero del Lavoro boccia la riforma della cassa di previdenza dei giornalisti (Inpgi)”. Nell’incipit dell’articolo di Vitaliano D’Angerio, pubblicato oggi a pagina 19 del Sole 24 Ore, una “notizia” non confermata nel titolo “Il Lavoro: la riforma dell’Inpgi va corretta”, preceduto dall’occhiello “La valutazione è stata trasmessa al ministero dell’Economia”, né nel terzo capoverso dello stesso articolo, laddove il quotidiano economico di Confindustria ammette che “Dal ministero fanno sapere però che non c’è alcuna decisione definitiva ed è in corso «un’attività istruttoria»”.
Dunque, è giornalisticamente corretto scatenare una social-reazione a catena sulla scorta di una lettera interlocutoria – di questo si tratta – inviata nel mese scorso da una dirigente del Ministero del Lavoro al Ministero dell’Economia e Finanze (Mef), sebbene il confronto tra i due Ministeri, ai quali spetta dare di concerto il parere sulla riforma previdenziale Inpgi, sia ancora in atto?
Negli ultimi due giorni, il potenziale “scoop” è rimbalzato per la Penisola in cerca di conferme, ma al di là dei “rilanci” dell’articolo del Sole, rititolati in chiara chiave elettorale, nessuno è finora riuscito a dire di più di quanto tutti, sin dal primo momento, sapevamo. Ovvero che la riforma previdenziale varata nel luglio scorso dall’Inpgi avrebbe corso il rischio di essere ritenuta insufficiente dai ministeri vigilanti. Un rischio – è questo il punto – che, contrariamente a quanto qualcuno va dicendo – andava, comunque, corso per evitare di dover usare la mannaia a danno dei colleghi.
Di converso, Il Sole 24 Ore scrive che il Ministero del Lavoro “chiede molta cautela sul «contributo straordinario» dei pensionati” ritenendo di “porre in evidenza, sotto un profilo di legittimità, che, in quanto imposto da un atto non avente forza di legge che incide su pensioni già maturate e in pagamento (cosiddetti diritti acquisiti), nonché al di sotto della soglia di salvaguardia posta dall’attuale normativa”. Il controverso punto che ha scatenato una vera e propria “guerra generazionale” – ricordiamo – è relativo al “contributo di solidarietà”, progressivo per scaglioni di reddito e con durata limitata a cinque anni, a carico delle pensioni in essere: da un minimo dello 0,5 per cento al 18 per cento per le pensioni superiori ai 195mila euro, con esclusione di quelle fino a 6mila euro lordi (l’equivalente della pensione sociale).
Parliamo, dunque, di un “sacrificio” di 6 euro netti al mese per chi percepisce una pensione di 29.636 euro lordi all’anno e di 16 euro per chi ne percepisce 54.430 che, naturalmente, diventano 22 per la fascia compresa tra i 60mila ed i 91mila 251,15 e 68 per chi di pensione porta a casa fino a 130mila 358 euro. Le due fasce successive, naturalmente, sono quelle “d’oro” con 232 euro netti al mese richiesti a chi percepisce pensioni fino a 195mila 538,20 euro lordi all’anno e 695 euro a chi dorme sonni ultratranquilli con pensioni ancora più alte. (vedi tabella allegata).
Ma vediamo cosa è successo. Secondo quanto risulta a Giornalisti Italia, la lettera di cui il Sole 24 Ore ha pubblicato alcuni passi provocando – giurano alcune fonti bene informate – l’irritazione del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e dei suoi stretti collaboratori per l’inopportuna divulgazione di un documento interno, sarebbe in realtà la risposta a una precedente comunicazione del Mef.
Tant’è che la posizione del Ministero guidato da Pier Carlo Padoan sarebbe diversa: ovvero, si proporrebbe di dare un via libera sostanziale alla riforma Inpgi, pur esprimendo forti preoccupazioni sulla tenuta prospettica del sistema del mercato del lavoro giornalistico in Italia.
Qual è allora il vero scenario? Una parte della riforma Inpgi dovrebbe essere approvata di concerto dai due ministeri: in particolare, la manovra riguardante l’aumento delle aliquote contributive, la diminuzione delle future rivalutazioni e l’entrata in vigore della quota E per il calcolo delle pensioni, ma con un rendimento massimo, a scalare, del 2% annuo contro il 2,3% previsto dal Consiglio d’amministrazione uscente, che aveva già limato il 2,66% in vigore fino al 2015.
Una parte della riforma potrebbe, invece, essere rinviata al prossimo Cda chiedendo, entro il 2016, un aumento dell’età pensionabile in base alle norme della legge Fornero: quindi con un’uscita dal lavoro non più a 66 anni, come deliberato dal Cda uscente, bensì in prospettiva imponendo ai giornalisti di lavorare fino a 70 anni e oltre.
Ma un simile scenario è considerato politicamente credibile dai ministri Padoan e Poletti e dall’intero Governo guidato da Matteo Renzi? Non va dimenticato, infatti, che lo stesso presidente del Consiglio ha preannunciato che, nel 2016, intende varare la flessibilità in uscita per le pensioni Inps, ovvero rivedere le norme della legge Fornero. Peraltro, anche nella riforma Inpgi varata dal Cda uscente la flessibilità in uscita è già prevista, a partire da 62 anni d’età.
I ministeri vigilanti chiederanno, quindi, all’Inpgi di applicare sull’età pensionabile la legge Fornero che Renzi, Poletti e Padoan vogliono cambiare? Senza contare che il rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Cda dell’Inpgi, Andrea Mancinelli, ha votato a favore della riforma definendola, appunto, “solo un inizio”.
Il problema vero è salvare l’autonomia dell’Istituto di Previdenza dei Giornalisti Italiani funestato da una crisi senza precedenti, che mette in ginocchio le imprese editoriali e lascia per strada migliaia di contrattualizzati, spesso – purtroppo – a causa di un uso distorto degli ammortizzatori sociali che, invece di costituire un’occasione di rilancio, finiscono per diventare mero strumento di riduzione del costo del lavoro di aziende decotte o, peggio ancora, nate morte.
Un peso, quello dei contratti di solidarietà e della cassa integrazione (pagati esclusivamente dall’Inpgi, ovvero con i contributi degli stessi giornalisti) che, aggravando l’indice negativo del bilancio dell’Istituto di previdenza, ha finito per minarne pesantemente le fondamenta a causa del “sorpasso” delle prestazioni erogate sulle entrate contributive.
I giornalisti, insomma, sono avvisati: dagli eventuali “correttivi” alla riforma potrebbero guadagnarci qualche decina di euro solo i pensionati a reddito elevato. Gli altri, tutti gli altri, potrebbero soltanto perderci. (giornalistitalia.it)
In merito a notizie di stampa pubblicate dal Sole 24 Ore, appare singolare che sia stato reso noto oggi, nel pieno della campagna elettorale per gli organismi dirigenti dell’Inpgi, il contenuto presunto di una lettera del Ministero del Lavoro al ministero dell’Economia, nella quale si metterebbero in evidenza le criticità derivanti da una manovra che sarebbe giudicata insufficiente. Ciò anche se parte rilevante della delibera del Cda dell’Inpgi sarebbe comunque giudicata congrua. Sono elementi peraltro in gran parte noti che però sono stati immediatamente strumentalizzati. I colleghi del Sole 24 Ore hanno fatto il loro mestiere. Preoccupano invece fughe di notizie a livello ministeriale che non aiutano l’Istituto. D’altra parte l’Inpgi deciderà nel merito solo sulla base del previsto parere congiunto e comunicato all’Istituto, che ad oggi non ha ricevuto alcuna comunicazione da parte dei ministeri vigilanti.
Siamo alle solite e nella logica di buttare l’acqua con tutto il bambino non sapendo che, in questo modo, si fa male non all’Inpgi, ma all’intera categoria che ha già tanti problemi da risolvere.
La campagna elettorale, che ha raggiunto livelli di vera guerriglia parolaia, è terreno fertile per chi vuol strumentalizzare il dibattito, con l’aiuto di persone scorrette come qualche solerte dipendente ministeriale.
Chi ha a cuore il futuro dell’Inpgi ed ha la serenità e l’onesta capacità critica di valutare fatti e persone non cade nel tranello.